Articolo aggiornato il 19 Gennaio 2022 da Stefano Mastrangelo
Le ripercussioni ci sono già. Tralasciando il discorso prettamente sanitario e clinico, è evidente che oggi la priorità è limitare la diffusione del contagio. Le autorità politiche e sanitarie italiane, si stanno muovendo in tal senso (come già fatto in Cina e Singapore a suo tempo).
Queste misure di contenimento però, prevedono molte limitazione alla circolazione delle persone e al mantenimento di eventi con ampi assembramenti. Di conseguenza tanto nelle (poche per fortuna) aree di focolaio, quanto nelle regioni in cui il virus circola ormai in modo evidente, l’economia sta risentendo notevolmente del calo di consumi e quindi utili per le imprese.
Lo spiego con semplici esempi: la chiusura di bar, teatri, musei (oltre che scuole) in Lombardia e Veneto, significa abbattere milioni di euro al giorno di ricavi, delle stesse strutture chiuse, ma anche di fornitori di generi alimentari, tassisti e operatori dei trasporti. La gente circola meno nelle aree urbane e di conseguenza anche commercio, ristorazione e servizi ne risentono.
Qual è il settore più colpito?
Il settore più colpito in assoluto è quello del turismo e dei viaggi. In questo caso infatti, il crollo di presenze turistiche in Italia (e la cancellazione di migliaia di prenotazioni per i prossimi mesi, non solo in Veneto e Lombardia, ma persino in aree attualmente immuni al contagio come Puglia e Toscana) sta mettendo in ginocchio decine di imprese: catene alberghiere e bed&breakfast, agenzie di viaggio; persino il principale vettore di trasporto aereo (Alitalia) ha annunciato la necessità di porre in cassa integrazione migliaia di lavoratori per il calo dei volumi di affari.
Milano e tutta la pianura padana, sono poi centro di attrazione per le diverse imprese che vi sono insediate, scuole e università ed altri poli del terziario (fiere, giornali e mezzi di comunicazione, ecc.) che creano un’altra forma di “turismo” di natura economica e formativa, che oggi è praticamente azzerato rispetto a qualche mese fa.
A questo aggiungo altri due aspetti fondamentali: il danno di immagine che sta colpendo l’Italia (in particolare le 3 regioni del nord più colpite, che però rappresentano le più produttive dal punto di vista del Pil nazionale), vista come un luogo oggi “pericoloso” per viaggi e visite dall’estero.
Questo comporta problemi per le nostre aziende, nel mantenere rapporti con fornitori e clienti esteri: perché diventa difficile spostarsi dall’Italia e verso l’Italia, cosa fondamentale in quasi tutti i comparti, per chi vuole mantenere rapporti d’affari con partner internazionali. Infatti la cancellazione di fiere, meeting internazionali, viaggi di tecnici italiani verso clienti esteri, è l’altro grande problema da fronteggiare oggi.
Infine c’è il problema delle zone “rosse”. A Lodi, Piacenza ed in altre città “blindate” ci sono aziende molto importanti (anche nel comparto agricolo) che sono praticamente ferme, e la situazione potrebbe, purtroppo, estendersi ad altre aree in caso di contagio. Insomma, un vero e proprio crollo del giro di affari di milioni di euro al giorno che, si spera, si assorbirà rapidamente col superamento del picco dei contagi e la ripresa degli scambi e degli spostamenti a pieno regime.
Si è già assistito in questa settimana, ad un brusco calo delle borse mondiali. Come avevo già scritto qualche settimana fa in un articolo, relativo alla diffusione cinese del coronavirus, questo aspetto è abbastanza logico, ma non troppo preoccupante.
Spiego il perché: i crolli di questi giorni (fino a -11% in alcune piazze) riflettono il probabile calo di fatturati ed utili che i mercati si aspettano dalle grandi aziende mondiali e dalle multinazionali nei prossimi mesi. Come già scritto, la diffusione del virus, comporterà limitazioni negli spostamenti a livello mondiale, la diminuzione di volumi di affari di tanti settori concatenati tra loro (viaggi, turismo, costruzioni di infrastrutture, beni di lusso, ecc e a cascata altri comparti secondari).
Chi detiene le azioni di aziende i cui utili sono previsti in ribasso per i prossimi mesi, ha cominciato a vendere questi titoli (anche perché ci sono stati guadagni importanti negli ultimi mesi del 2019 ed era il momento di capitalizzare). Questi due comportamenti, amplificati dagli algoritmi che oggi governano migliaia dei più importanti fondi mondiali, hanno provocato una immediata corsa alla vendita dei titoli per privarsene prima delle attese discese.
I mercati finanziari, rispondono alla prima legge del mercato, quella della domanda e dell’offerta: quando tanti vogliono vendere e pochi vogliono comprare, i prezzi crollano. Ecco spiegati i cali violenti: chi ha bisogno di capitalizzare i guadagni sta vendendo a qualsiasi prezzo, per spostarsi su beni rifugio, in attesa che passi la tempesta. Ma è già successo molte volte nella storia recente (analoghi meccanismi, per non andare troppo lontano sono scattati nel 2018 quando Trump annunciò il ripristino dei dazi internazionali), e succederà ancora. A pochi mesi dal picco dei contagi, possiamo tranquillamente ipotizzare un ritorno dell’economia (in termini di produttività ed utili) e della finanza, ai livelli precedenti lo scoppio del coronavirus, e addirittura prospettive ulteriori di crescita.
I piccoli risparmiatori che detengono titoli (purché acquistati con orizzonti medio-lunghi), possono stare tranquilli, non è l’arrivo dell’Apocalisse, ed anzi in questi mesi potrebbe esserci momenti di acquisto di titoli di qualità molto “scontati” esattamente come avviene con i saldi di fine stagione nelle boutique dei nostri paesi. In quest’ottica, io sto personalmente programmando acquisiti di titoli (con tecniche e contromisure ad hoc per gestire le discese e con la corretta diversificazione), tanto per me, quanto per alcune delle situazioni patrimoniali che seguo personalmente.
Si possono ipotizzare dei tempi, prendendo ad esempio quanto accaduto in occasione della diffusione della Sars o della cosiddetta influenza Suina. In quei casi, 3 mesi dopo il picco, l’economia aveva già superato i livelli pre crisi. In Cina il picco dovrebbe essere stato registrato a inizio febbraio, quindi si spera che tra Aprile e Maggio, possa già esserci un ritorno a livelli pre crisi, se non intervengono altri problemi. In Italia e in Europa, il picco potrebbe essere ancora lontano dal raggiungimento, ma in ogni caso non ci troveremo di fronte a carestie bibliche: qualche mese e poi, mi auguro, parleremo di questo virus come di un momento difficile superato con qualche ovvio sacrificio.
Se invece i contagi nel mondo aumentassero, bisognerà attendere e valutare anche le risposte dei governi e degli organismi internazionali, per il contenimento e per le misure di sostegno all’economia. Anche in questo caso, resto comunque convinto, che da quando si sarà raggiunto il picco e avviata la discesa di contagi, basteranno pochi mesi per ritornare ad una normale crescita globale. Dal punto di vista economico-finanziario, quindi, con buona pace dei professionisti del panico (che molti danni hanno fatto in questi giorni) questa situazione non avrà la forza di modificare il normale corso ed i cicli di crescita di lungo periodo. L’economia mondiale puntualmente risponde a queste situazioni attivando anticorpi (è proprio il caso di dirlo) efficaci.
Le singole aziende, specie in Italia, dovranno però essere sostenute dal sistema finanziario privato e pubblico. E’ ipotizzabile stimare nei prossimi mesi, l’insorgere di diversi casi di crisi aziendali, ed un calo del Pil italiano per i prossimi semestri, tra l’1 e il 3% ( e dati simili a livello mondiale in caso di diffusione pandemica). Situazione da contrastare, per ripartire subito dopo (quindi ipoteticamente dal terzo trimestre 2020) con vigore e programmazione, e riprendere, come detto, in pochi mesi la strada della crescita.
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